RECOVERY FUND: ECCO COME L’EUROPA UNITA RIPARTE DOPO IL COVID-19

“Un risultato di portata storica, che non appartiene al governo o alle forze di maggioranza, ma all’Italia intera.”

Con queste parole il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha sintetizzato il successo raggiunto dal Consiglio europeo il 21 luglio, che dopo oltre ben 90 ore di summit, il secondo più lungo della storia dalla nascita dell’Ue, all’alba del quinto giorno di negoziato è approdato al raggiungimento di un’intesa senza precedenti attraverso l’approvazione del c.d. Recovery Fund.

Saranno 750 i miliardi stanziati a livello europeo per fronteggiare le conseguenze drammatiche scaturite dall’emergenza sanitaria da Covid 19 la quale, come è noto, ha colpito drammaticamente negli scorsi mesi, seppur con incidenza diversa, tutti gli stati del vecchio continente dilaniandone nel profondo l’economia e mettendone in ginocchio i sistemi sanitari, creando una situazione di incertezza e precarietà assoluta.

Un fondo economico, quindi, lo strumento ad hoc predisposto allo scopo di supportare la ripresa il quale verrà finanziato mediante l’emissione da parte della Commissione europea di titoli obbligazionari, i recovery bond, grazie ai quali verrà generato per la prima volta nella storia dell’Unione un debito comune a tutti i paesi.

Un risultato dirompente ma fondato su un gioco di equilibrio e ponderazione raggiunto grazie alla logica del compromesso, considerando le istanze contrastanti promosse nel Consiglio europeo dai 27 capi di stato o di governo che ne fanno parte: da un lato gli stati maggiormente colpiti dalla pandemia, tra cui Italia, Spagna e Francia, che, invocando solidarietà, spingevano ad un celere e concreto intervento di sostegno da parte dell’Unione, così da poter fronteggiare ed arginare gli effetti della crisi e, dall’altra, le resistenze manifestate dai “Frugal Four”, i paesi frugali,  nello specifico Austria, Olanda, Finlandia e Danimarca, fortemente ostili all’adozione di tale soluzione soprattutto nei termini proposti da Francia e Germania.

Dal contemperamento e dalla necessità di far convergere le predette esigenze contrastanti, si è giunti ad elaborare un piano di sintesi ambizioso e articolato, il quale strutturalmente prevede una quota parte del totale, pari a 360 miliardi, che verranno elargiti in favore degli stati membri a titolo di prestito garantito dall’Unione, i quali soggiaceranno a condizioni molto vantaggiose: un tasso di interesse realmente basso, pari allo 0,1% e un termine ultimo per la restituzione pensato sul lungo periodo, l’anno 2058; a cui si affiancheranno 390 miliardi a titolo di sovvenzioni a fondo perduto.
Ingenti, quindi, le risorse predisposte le quali verranno allocate adottando da una parte il criterio del livello disoccupazionale e dall’altro il criterio della perdita reale di Pil: sarà pertanto la nostra Italia a beneficiare della fetta più ampia e consistente, seguita subito dopo dalla Spagna.

Per poter concretamente usufruire delle cifre predisposte, bisognerà tuttavia attendere il 2021 in quanto la corresponsione delle stesse risulta essere condizionata ad una serie di adempimenti a carico degli stati membri: ciascuno, invero, dovrà presentare entro l’autunno un piano di riforme e investimenti su base triennale coprenti l’arco temporale dal 2021 al 2023, stilati avendo come punto di riferimento le raccomandazioni, gli obiettivi del Green deal, a testimonianza di un’ Unione Europea sensibile rispetto alle concrete problematiche del cambiamento climatico, e della digitalizzazione, dettate dalla Commissione che avrà il compito preliminare di valutare i piani nazionali i quali saranno infine approvati a maggioranza qualificata dal Consiglio Ue.

Precise e chiare le richieste rivolte all’Italia che vedono come mittente Bruxelles: quanto prima riforma della giustizia, riforma del lavoro e riforma fiscale, per stilare le quali il presidente del consiglio ha annunciato la predisposizione a stretto giro di una specifica task force operativa perché, come ha ricordato lo stesso Conte contestualmente al raggiungimento dell’accordo in oggetto, “avremo una grande responsabilità, abbiamo la possibilità di far ripartire l’Italia con forza, di cambiare volto al nostro Paese. Ora dobbiamo correre, utilizzando questi soldi per investimenti per riforme strutturali”, con la consapevolezza che saremo, per così dire, osservati speciali.

Per lo più unanime la reazione di soddisfazione con cui è stata accolta l’approvazione del piano all’interno sia delle forze di maggioranza sia delle forze di minoranza, ad eccezion fatta per la Lega: gli altri leader dei partiti di centrodestra e centrosinistra hanno, seppur con qualche fisiologica critica, riconosciuto a Conte la capacità di far sentire la voce e il peso dell’Italia forte e chiaro in Europa, portando a casa un risultato fondamentale.

E allora, la strada per uscire dalla crisi ingenerata dalla pandemia è senz’altro ancora lunga, tortuosa e ricca di ostacoli, ma l’approvazione del Recovery Fund indubbiamente rappresenta un deciso passo per lasciarci alle spalle la drammaticità degli scenari degli scorsi mesi.
Perché si sa: situazioni eccezionali richiedono misure eccezionali e questa volta l’Europa, mostrandosi unita e coesa, più forte di ogni nazionalismo e divisone, è stata in grado di dare una risposta senza precedenti alle richieste di aiuto degli stati membri.